Silent Wines…sulla Via del Sale
Ma, quando niente sussiste d’un passato antico, dopo la morte degli esseri, dopo la distruzione delle cose, soli, più tenui ma più vividi, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l’odore e il sapore, lungo tempo ancora perdurano, come anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sopra la rovina di tutto il resto, portando sulla loro stilla quasi impalpabile, senza vacillare, l’immenso edificio del ricordo.
Marcel Proust
Oggi inizia una nuova storia per me, una storia che parla di sensi, capaci di interpretare sfumature sottili di ciò che non si vede, ma solo si intuisce, di cui difficilmente si scrive a parole, una porta aperta su un mondo magico, capace di catturare l’essenza della vita, un mondo a me già noto.
Io vivo di odori. Ricordo con gli odori. Riconosco con gli odori.
Per me nulla è più memorabile di un odore.
Da Ottobre scorso ho iniziato un percorso che mi ha portato ad esplorare una parte di me molto istintiva e spontanea, la degustazione del vino, l’assaporare profumi e sapori inesprimibili, lasciandomi trasportare da ciò che essi riescono a scatenare, quasi a far riaffiorare ricordi assopiti o a far rivivere sensazioni dimenticate.
Quando poi a tutto ciò si aggiunge uno scenario suggestivo come La baia del Silenzio a Sestri Levante…
Vi voglio raccontare di due giornate organizzate da FISAR – Federazione Italiana Sommelier, Albergatori e Ristoratori in collaborazione con Accademia dei Sapori, dedicate all’incontro tra due territori molto diversi per produzioni e tradizioni enogastronomiche, ma collegati da una moltitudine di strade e mulattiere che in passato scendevano, attraverso l’Appennino, dalle zone collinari dell’Italia settentrionale fino al litorale ligure, vie di comunicazione e di scambio di una merce di grande valore nel passato, il sale, indispensabile per stoccare, conservare e mantenere in buono stato molti cibi che altrimenti sarebbero deperiti.
L’evento ha visto protagonisti all’interno dell’ex convento dell’Annunziata 30 aziende vitivinicole di Piemonte e Liguria, a disposizione del pubblico e degli operatori del settore per la degustazione dei loro prodotti e di alcuni produttori di olio extravergine d’oliva Riviera Ligure DOP del territorio di Sestri Levante, di conserve ittiche ed acciughe sotto sale, di formaggi di malga delle Valli Occitane, di pasta fresca ripiena e di carni di Razza Bovina Piemontese, oltre a degustazioni didattiche, show cooking e la possibilità di degustare focaccia al formaggio, panigacci con pesto e salumi presso alcune postazioni, nel rispetto dei criteri di qualità e territorialità della manifestazione.
Nella prima giornata ho avuto modo di partecipare alla degustazione didattica sull’abbinamento cibo vino con due salumi tipici piemontesi:
– il Salame Cotto tipico monferrino, fatto con carne magra macinata di spalla, coscia e gola del maiale, messa nel budello e cotto per 3 ore, poi lasciato raffreddare nella sua acqua di cottura.
– la Muletta, uno dei più pregiati tipi di salame crudo della zona del Monferrato, fatto con carne di coscia, spalla e culatello tritata a grana media,a cui è aggiunto un 20% di grasso di pancetta, condito poi con sale, pepe in polvere bianco e nero, noce moscata ed un infuso di aglio e vino, in genere Barbera. L’impasto viene insaccato in budello naturale, adatto alle lunghe stagionature, che e dà al salume una forma irregolare, tozza, con scanalatura a fessura; da qui probabilmente il nome muletta, dal termine “mula” usato per definire le ragazze in Veneto, dove i soldati monferrini combatterono le guerre risorgimentali.
La stagionatura dura 3-4 mesi.
In degustazione con i salumi monferrini, un vino semiaromatico dell’azienda Montalbera con sentori fruttati e floreali di rosa e di viola, caldo, con bassissima acidità e tannini molto eleganti, dal vitigno autoctono tra i più rari tra quelli coltivati nel Monferrato astigiano.
– Ruchè di Castaglione Monferrato La tradizione
– Ruchè di Castaglione Monferrato Laccento
Il Ruchè viene prodotto in una ristretta area che comprende solo sette comuni, una zona collinare ben esposta al sole, con terreni calcarei ed asciutti.
Nel 1964, un giovanissimo parroco prese in mano il “beneficio parrocchiale” al cui interno ricevette in “dote” anche un piccolo appezzamento coltivato a vigna e fu l’autore del recupero di questo vitigno autoctono, curandone personalmente la coltivazione e il processo di vinificazione in purezza. Il suo lavoro portò altri viticoltori a credere nel Ruchè fino ad ottenere il riconoscimento della denominazione di origine nel 1987 e da allora il Ruchè si è guadagnato un posto di nicchia nell’enologia, a livello nazionale e internazionale, di tutto rispetto.
L’origine del nome è incerta: secondo alcuni deriva da San Rocco, poichè fu importato dalla Francia in epoca medioevale da monaci che lo impiantarono attorno ad un monastero dedicato al santo.
Alcuni ritengono invece che derivi da “roncet” un’infezione che nel 1770 distrusse tutti i vigneti della zona, di fronte alla quale il ruchè si dimostrò particolarmente resistente.
Altri riconducono il nome a “roche” che in piemontese significa zone arroccate.
Con ogni probabilità la sua origine è in Alta Savoia, una volta territorio italiano, dove troviamo una zona chiamata Ruche in cui si produce Brachetto, ma in ogni caso è a tutti gli effetti un vitigno astigiano per secolare acquisizione.
luca
10 Aprile 2016 alle 11:07 (9 anni fa)ciao,
non sò se lo hai assaggiato ma domenica con il ruchè di Montalbera avevo preparato un sorbetto gelato che è andato a ruba !!!!
ciao luca
superadmin
10 Aprile 2016 alle 13:03 (9 anni fa)No, mi dispiace Luca ma non ho avuto questo piacere :( il tuo gelato lo conosco però!